Le periferie. Così si batte lo stigma del Covid nell’Uganda dei profughi

by Amref Health Africa

Al Rhino Camp, che ospita 120mila persone fuggite dai Paesi vicini, Amref ha puntato su formazione sanitaria e sensibilizzazione delle comunità: «Ora i malati non nascondono più i sintomi»

«Nel campo di Rhino, come nel resto del mondo, ognuno fa tutto ciò che può. Non importa chi tu sia o che possibilità tu abbia, ciò che importa è che le tue forze siano incanalate nella direzione giusta. Tutti possiamo fare la differenza, e come la crisi è iniziata, prima o poi finirà». Campo per rifugiati Rhino Camp, Nord dell’Uganda, il Paese africano che ospita più sfollati, all’incirca 1,4 milioni. In una terra che è di tutti e di nessuno, dove la vita tra le comunità locali e i nuovi arrivati in fuga da conflitti e tensioni dei Paesi vicini ha trovato un suo strano ma decisivo equilibrio, l’ombra lunga del coronavirus fa paura. Perché se è vero che a livello ufficiale i numeri sono stati finora contenuti (17.150 contagi e 158 decessi), i test sono cosa rara e le condizioni ambientali, igieniche e sanitarie non sono proprio quelle ideali, mettiamola così, per una sfida così complessa. Christine Lanyero, project manager di Amref Health Africa non lo nasconde. «Il distanziamento fisico resta una delle più grandi sfide – spiega – poiché i membri di entrambe le comunità del campo tendono ad avere famiglie molto allargate che vivono in stretto contatto. Inoltre, nel campo vivono oltre 73mila bambini, molti dei quali sono arrivati senza i propri genitori. Questo significa che nuclei familiari formati da soli fratelli e sorelle vengono gestiti dal più grande, che spesso è un minore. Una crisi sanitaria di questo tipo è difficile da gestire a 12 anni, con 3 bambini a carico e un trauma migratorio e di separazione. Per questo motivo, gli operatori all’interno del campo sono stati addestrati per offrire sostegno psicosociale di base accessibile a tutti».

Non solo: «Il Covid- 19 ha avuto una grave influenza sulla disuguaglianza e sulla violenza di genere; fenomeni preesistenti che, tuttavia, hanno subito un grave aumento. Abusi fisici, sessuali, verbali, emotivi e psicologici, spesso nei confronti di bambine fragili. Sono arrivate segnalazioni di circa mille minori incinte, nel distretto di Arua, negli ultimi mesi». È in questo scenario di estrema fragilità che Amref, la Nando and Elsa Peretti Foundation e Stavros Niarchos Foundation collaborano ad un intervento di contrasto alla diffusione del coronavirus, intervento che ha avuto come obiettivi il rafforzamento delle strutture sanitarie del campo profughi, il perfezionamento delle competenze del personale sanitario e la formazione di operatori comunitari che possano sensibilizzare i rifugiati. A Rhino Camp (118mila profughi, 30mila famiglie) sono 94 i «Village Health Teams», 50 gli operatori sanitari e altri 50 i leader della comunità formati su infezione, prevenzione e controllo, membri attivi che a loro volta – insieme anche a leader religiosi e attivisti per i diritti delle donne – hanno provveduto a formare i loro gruppi di appartenenza. Gli operatori sanitari coinvolti utilizzano innovazioni digitali come Leap, che permettono di inviare sui cellulari importanti contenuti formativi. Decisiva, inoltre, la fornitura di attrezzature mediche, tra cui dispositivi di protezione individuale come mascherine, stivali di gomma, grembiuli riutilizzabili.

Al Rhino Camp Amref lavora già dall’agosto del 2017 con un intervento di emergenza in ambito igienico-sanitario finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. L’arrivo del coronavirus ha reso questo intervento ancora più cruciale. «La risposta delle comunità è cambiata moltissimo negli ultimi mesi, soprattutto in relazione allo stigma sociale associato alla malattia – sottolinea Lanyero –. Inizialmente, le cause ignote del virus hanno creato confusione, ansia e paura tra la gente. Sfortunatamente, questi fattori hanno contribuito ad aumentare il livello di stigma associato al Covid-19. E lo stigma può spingere le persone a nascondere la malattia per evitare discriminazione o può indurre a non cercare assistenza sanitaria immediata. Sottolineando l’efficacia dell’adozione di misure protettive e modificando la comunicazione sul virus questo ostacolo è stato superato». Le attività di sensibilizzazione sono quotidiane: «Diramiamo aggiornamenti e indicazioni durante le trasmissioni radiofoniche, facciamo circolare volantini con le informazioni necessarie riguardanti il Covid-19 e, da quando hanno riaperto le scuole, organizziamo attività di sensibilizzazione all’interno delle classi», racconta Lanyero. Che conclude: «I leader comunitari hanno espresso la loro gratitudine per aver dato loro voce e, con essa, la possibilità di proteggere la propria comunità nei mercati, nelle chiese, nelle scuole e nei punti di ritrovo. Per noi di Amref non c’è soddisfazione più grande». 4. Continua

Article first published on avvenire.it

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