Gli studenti raccontano il Paese più giovane del mondo Buone Notizie in edicola

by Amref Health Africa

Ricordate la storia di Kiriku e della strega Karabà? Un bambino africano salva il suo villaggio dalle vessazioni di una donna malvagia e risolve il mistero dell’acqua scomparsa facendo tornare a scorrere la vita tra la sua gente. Ci riesce sfidando le superstizioni. Quel film contribuì a sensibilizzare i bambini e anche i loro genitori sui problemi dell’Africa più di molti documentari e appelli alla solidarietà. In molti villaggi del Sud Sudan, il Paese più giovane del mondo, nato 8 anni fa esatti (9 luglio 2011) da un referendum a cui partecipò il 96 per cento degli aventi diritto al voto, sta accadendo qualcosa di simile, questa volta senza ricorrere a un bambino prodigioso, ma semplicemente con il Progetto Sani di Amref Health Africa, cofinanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e «interpretato» dagli studenti dello Ied (Istituto europeo di design) di Milano.

Lo scenario è quello di un’immensa desolazione. Alla guerra civile prima dell’indipendenza hanno fatto seguito scontri tribali per il controllo del potere. Sette milioni di persone su 12 milioni di abitanti hanno dovuto abbandonare le loro terre, gli animali, quel poco che possedevano e sfollare entro i confini o finire profughi in Uganda e in Kenya. In una nazione potenzialmente ricca, un tempo granaio del Sudan, e con giacimenti di petrolio, è scoppiata la peggiore emergenza umanitaria del pianeta, aggravata da fattori climatici: un bambino su due è gravemente malnutrito, due donne in gravidanza su tre soffrono la fame, solo una persona su dieci ha accesso a servizi sanitari di base, le condizioni igienico-sanitarie sono drammatiche e l’impossibilità di accedere ad acqua pulita diffonde malattie. Amref è nel Sud del Sudan dal 1972. Si stima che l’80 per cento del personale sanitario del Paese sia stato formato da questa organizzazione non governativa che si avvale quasi esclusivamente di personale africano (97 per cento). Agli interventi solitamente non emergenziali e di carattere sanitario Amref ha dovuto aggiungere quelli alimentari per tamponare e cercare di invertire una spirale che sta trascinando la popolazione in una sorta di olocausto.

Così è nato il Progetto Sani nella regione di Grande Equatoria. «Nell’immediato – spiega Guglielmo Micucci, direttore di Amref Italia – ci proponiamo di migliorare del 30 per cento l’indice di malnutrizione e di riuscire a intervenire sul 70 per cento dei bambini fortemente malnutriti, oltre a occuparci di almeno 5 mila donne in gravidanza o in allattamento. Nel frattempo dobbiamo generare le condizioni per un ritorno alla normalità. Il principale problema è l’accesso all’acqua pulita, per cui stiamo rimettendo in funzione trenta pozzi danneggiati e ne stiamo impiantando due nuovi. Costruiamo inoltre 8 latrine pubbliche, 12 scuole per piccoli allevatori e coltivatori e formiano 450 promotrici dell’igiene e dell’acqua pulita perché insegnino a mantenere in funzione i pozzi e prevengano eventuali conflitti tra comunità per l’accesso all’acqua».

Per la sua vocazione a creare sul posto «ambasciatori» che aiutino, come nel caso di Kiriku, a superare le «superstizioni» e i luoghi comuni, Amref ha colto l’occasione per agire anche in Italia, chiedendo agli studenti dell’Istituto europeo di design di contribuire al progetto interpretandolo con graphic novels. «L’abbiamo proposto ai nostri ragazzi e abbiamo avuto molte più adesioni di quante ci aspettassimo», dice Daniela Brambilla, coordinatrice dei corsi di illustrazione per la sede di Milano.

Lucrezia Pompa è una studentessa del terzo anno che si sta laureando: «Il mio stile è ironico e non mi ero mai soffermata su un tema così drammatico. Per raccontarlo dovevo trovare una chiave che mi consentisse di immedesimarmi, trovare un punto d’incontro tra un bambino del Sud Sudan e uno europeo. L’immaginazione, ecco cosa poteva essere, mi sono detta, e ho cominciato a fare domande ai figli di amici per comprendere meglio il loro immaginario. La pioggia? È il pianto delle nuvole. Il fuoco? Pezzi di Sole che cadono. Ho capito che il problema non è solo economico ma culturale. Da lì occorre cominciare, da un dialogo sotto le stelle che può cambiare un’esistenza. Ho così messo a confronto il percorso di un bambino senza conoscenze con quello di chi ha appreso a seminare e coltivare migliorando la propria vita e quella degli altri».

Consapevolezza, dunque, «ma anche fiducia, certezza di non essere abbandonati», incalza Giulia Masia, iscritta al primo anno. «La mia è la storia di una coppia legata da un amore che affronta tutte le difficoltà. Lei si ammala per cattiva alimentazione. Diventa brutta, si comporta in modo strano. Ma il marito non l’abbandona e lei non va dallo sciamano, come vorrebbe la sua cultura, ma si lascia curare in una clinica. Lui lavora di giorno e l’accudisce di notte. Saranno premiati con la guarigione. Quando ho accettato di partecipare al progetto non sapevo da dove sarei partita poi, approfondendo l’approccio di Amref, ho compreso che questa poteva essere la strada».

«Aggiungerei anche il rispetto, perché “aiutare” non deve voler dire “cambiare”», precisa Michele Accorsi, studente del primo anno. «Confesso di aver aderito al progetto per i crediti formativi, non conoscevo Amref e nemmeno la situazione del Sud Sudan. Poi mi si è svelato un mondo. Mi sono sentito piccolo e quasi incapace di creare una storia così grande.

Scambiandoci opinioni è affiorato nei miei ricordi il racconto che avevo ascoltato da un fisico che era andato in Africa a riparare delle radio. Sentivo il bisogno di pescare dal mio vissuto per essere credibile e perciò ho trasposto quella narrazione nella mia dedicata al Sud Sudan e al lavoro di Amref. Anche perché calzava a pennello e mi permetteva di contribuire con un mio pensiero». Quale? «Il capo villaggio, per ringraziare l’agronomo che lo ha aiutato, gli regala una farfalla. “Grazie, è bellissima, ma non potrò portarla con me”. Il capo villaggio allora sorride e gli spiega il senso del dono: “Il mio regalo non è la farfalla da portare con te, ma l’opportunità di liberarla”. Andando a insegnare, con rispetto, credo si torni sempre avendo imparato qualcosa».

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