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L’Africa nei media? Poca e mal raccontata

Una delle immagini tratte dal Rapporto “L’Africa MEDIAta”. In apertura: la copertina della ricerca di Amref e Osservatorio di Pavia.

Per la prima volta l’Ong Amref, insieme all’Osservatorio di Pavia, ha analizzato quanto e come del Continente viene narrato nei giornali, nei Tg, nei social e anche nelle fiction. Ecco cosa ne emerge nello studio “L’Africa MEDIAta”, reso noto nei giorni scorsi a Roma

Quanta Africa vediamo attraverso i media italiani? E quale immagine ne viene veicolata? Una serie di risposte interessanti viene dal rapporto “L’Africa MEDIAta” di Amref Health Africa-Italia in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia (che ha condotto la ricerca).

Lo studio – realizzato nel primo semestre del 2019 e presentato a Roma nei giorni scorsi – è andato ad approfondire non solo la presenza del Continente nei giornali e nelle televisioni, ma anche nei social e nelle fiction , nel primo semestre 2019.

“L’Africa MEDIAta” si è concentrata su 30 episodi di serie televisive, 65 programmi di informazione di 7 reti generaliste, 80 mila notizie monitorate sui telegiornali (di 9 reti televisive), 800 notizie di prima pagina analizzate su 6 quotidiani nazionali, 21.600 post Facebook e 54 mila tweet di 8 testate giornalistiche.

Ebbene, cosa ne emerge? Il primo elemento è, purtroppo, il più prevedibile: l’Africa, nei media italiani, risulta quantitativamente poco presente. “Nei telegiornali delle nove reti prese in esame, in prima serata”, scrive il Rapporto, «la copertura sul Continente raggiunge il 2,4%. Ampliando lo sguardo all’Africa e agli africani in Italia (l’Africa “qui”), il dato cresce sensibilmente: al 2,4% di notizie sull’Africa “là” si aggiunge un 10% di notizie sull’Africa in Italia. Ma, escludendo il tema immigrazione, rimane ben poca visibilità nei media.

Qualche dato più analitico. Nelle prime pagine dei quotidiani l’Africa appare con 22 titoli al mese. Più di 8 articoli su 10 riguardano eventi e protagonisti di flussi migratori e fatti di cronaca (quindi, l’Africa in Italia). Tra i 2.290 riferimenti al Continente, nei programmi d’informazione, il 76% è riconducibile ancora una volta all’Africa in Italia, il 24% all’Africa “là”. Prevalgono le news sul Nord Africa e soprattutto sulla Libia: quasi la metà (44%) delle 538 notizie sul continente africano, nei 65 programmi d’informazione e infotainment analizzati, si riferisce all’ex Paese di Gheddafi. Il conflitto nel Paese nordafricano, unito al tragico incidente aereo in Etiopia, porta tra marzo e aprile a un picco di visibilità nei Tg. L’Africa “là” nei telegiornali compare 100 volte a gennaio, 30 a febbraio, 167 a marzo (le due notizie principali sono la tragedia avvenuta in Etiopia e ricordo del duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) e 259 in aprile.

Gli ingredienti più usati dai generi televisivi nella narrazione dell’Africa – spiega ancora lo studio di Amref e Osservatorio di Pavia – sono essenzialmente l’afropessimismo nelle rubriche informative, il folklore esotico nei documentari naturalistici e l’eurocentrismo unito al distacco nei talk show. A parlare di Africa sono rappresentanti politici e istituzionali italiani. Nei programmi Tv il tema al primo posto è guerra/conflitti (29%), seguono diritti umani, questioni di genere, rapimenti (19%) e ambiente, cultura, turismo (al 17%).

E veniamo alle fiction. Negli episodi (30) che hanno rappresentato l’Africa e gli africani, vi sono 304 personaggi analizzati. La prevalenza è, di gran lunga, di quelli occidentali (72%), mentre gli africani sono più di rado tra i protagonisti e con un minore approfondimento psicologico. Anche il “livello culturale” appare decisamente più elevato per i “bianchi”: il 26% di occidentali sono quadri e appartenenti a professioni intellettuali superiori, gli africani il 17,4%. Nella figura di operai: 0,5% occidentali e 5,8% africani. I temi maggiormente trattati sono razzismo (37%), inclusione (33%) diritti umani (30%), migrazione (23%).

Per quanto riguarda i social. L’indagine si è concentrata nei mesi di maggio e giugno, e in particolare sulle pagine pubbliche di Facebook e Twitter delle principali testate giornalistiche. Sui 21.610 post/articoli osservati su Facebook, l’1,4% si concentra sull’Africa, mentre il 4,1% mette a tema l’immigrazione. Mentre le percentuali di twitter sono, rispettivamente: 0,9% e 2,9% (su oltre 54 mila tweet analizzati). Insomma, sui social l’Africa desta scarso interesse. Ma la situazione si capovolge quando l’utente percepisce delle conseguenze “a casa nostra”.

«Esiste uno spazio per stringere un patto di lealtà con gli organi d’informazione e intrattenimento?», si chiede Guglielmo Micucci, direttore di Amref Health Africa in Italia. «È possibile restituire all’Africa una narrazione libera da cliché e da pregiudizi?».

La copertina della ricerca.

«Le analisi», aggiunge Micucci, «dimostrano che il clima di diffidenza nei confronti delle Ong ha portato a una diminuzione nei Tg delle voci volontariato, non profit e solidarietà, relative alle attività e agli interventi umanitari. É ora di iniettare nuove dosi di fiducia. Lo si può fare raccontando, per esempio, anche le opportunità che l’Africa può offrire. Oppure, come il Rapporto ricorda, prendere spunto anche dai consigli redatti da Amref e Carta di Roma, nel Decalogo per una corretta informazione sull’Africa».

Conclude il direttore di Amref: «Il nostro claim è “Non aiutateci per carità”. Lo rivolgiamo oggi non solo ai donatori, ma anche ai media. Non aiutarci per carità significa supportare la restituzione di un’immagine dell’Africa che non sia solo migrazione e dramma. E anche spingere quel 2,4% di racconto “dell’Africa là” un po’ oltre, per avvicinare ciò che è solo a pochi chilometri da noi, dall’altra parte del mare. Quel continente che in fondo ­­– noi di Amref lo sappiamo – molti italiani amano».

Per scaricare la ricerca si può andare su https://africamediata.amref.it.

Article first published on https://www.famigliacristiana.it/articolo/lafrica-nei-media-poca-e-mal-raccontata.aspx

Amref Health Africa

Amref Health Africa teams up with African communities to create lasting health change.

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