“La preannunciata ecatombe da Covid in Africa non c’è stata”. Questa è la premessa da cui partono Angelo Ferrari, giornalista di Agi ed esperto delle vicende del continente, e Freddie del Curatolo, curatore di malindikenya.net, il portale degli italiani in Kenya, nel loro libro “La pandemia in Africa” (Rosenberg & Sellier, 2021), da oggi in libreria, dove raccontano gli sviluppi e gli effetti del coronavirus in tutti i campi di più stretta attualità: da quello sanitario a quello economico passando per la politica e le tradizioni socio-culturali.
In Africa, si legge, le previsioni catastrofiche che persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) temeva non si sono verificate nonostante sistemi sanitari precari, regimi dittatoriali, attacchi terroristici, crollo dei flussi turistici e fragilità di ogni tipo. Queste debolezze, messe a nudo dalla diffusione del virus, hanno messo in luce, ancora una volta, la complessa eterogeneità di un continente “aperto, brulicante e allo stesso tempo sterminato nelle sue distanze”.
In Africa, alcune delle parole che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi assumono connotati e sfumature diverse. Il “lockdown”, ad esempio, non è sinonimo di “serrata totale” perché in contrasto con gli stili di vita di popoli che fanno dello stare all’aria aperta una necessità quotidiana. “Sarebbe impensabile chiudere un miliardo di persone in casa”, ricordano gli autori “perché casa spesso significa unicamente un giaciglio e quattro pareti, di fango o lamiera che lo delimitano”. La gente circola, come il virus, e alle mura di casa si preferisce un uso più rigido di protezioni come mascherine e gel.
La narrazione di Ferrari e del Curatolo si muove su due piani, alternando numeri a storie, percentuali a esperienze, ricorrenze e profili. E propone, con una visione spesso aiutata dalla lente della storia, sia esempi negativi che estremamente positivi di gestione della pandemia. Come quello del Senegal, secondo Paese al mondo per capacità di affrontare le minacce portate dal Covid, preceduto solo dalla Nuova Zelanda; o quello del Sudafrica, sulla cui testa pende ora la scure della recessione.
In questo senso, allora, il coronavirus diventa quasi una sorta di pretesto per gettare una nuova luce sugli eterni problemi e sulle nuove opportunità che l’Africa si ritrova ad affrontare e che spesso l’Occidente tende a dimenticare per via di strategici interessi geopolitici.
Dalle pagine fuoriescono così le anomalie “democratiche” imposte dai regimi dittatoriali di lunga data che, oggi, si servono della pandemia per rafforzare la loro leadership e mettere a tacere il dissenso. Ma accanto a loro appaiono anche quelle forme ripugnanti di “esseri umani” che devastano interi territori in nome del profitto e del potere: che siano bracconieri o terroristi poco cambia.
Nel libro non si dimenticano le questioni economiche, condizionate dalla forte ingerenza della Cina che si muove lesta in Africa anche in tempo di pandemia. I rifornimenti di strumenti protettivi, tamponi e, infine, vaccini, sono merce di scambio preziosa per continuare a stringere affari di qualunque tipo e che danno la possibilità a Pechino di allungare ancor più la sua mano sul continente.
Difficile non soffermarsi poi sui racconti che oscillano tra fatalismo e sopravvivenza. L’Africa, terra di preghiere e profonda spiritualità, richiama tutte le sue più antiche e tramandate tradizioni per provare a opporsi al dilagare del coronavirus. Medicamenti, pozioni, stregonerie accompagnano i malati in un doppio percorso di cura che si affida anche al passato per combattere le ben note carenze di strutture e personale specializzato. Questo è forse uno degli aspetti più curiosi del libro perché le “antiche credenze rendono meno tremenda la povertà” e mostra la capacità di resistenza di popolazioni abituate “a sfruttare ciò di cui si dispone”.
Il libro si completa con un’intervista a Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref Health Africa-Italia e a Githinji Gitahi, global ceo di Amref Health Africa, che spiegano quali sono le prossime sfide che il continente deve affrontare nei prossimi mesi, vaccini in testa, con la disuguaglianza mondiale che potrebbe “far rimanere il virus per molto tempo in Africa, tanto da farlo diventare endemico e con il rischio che muti in continuazione”.
Alla fine di un lungo ma piacevolissimo viaggio, dal Sahel al Sudafrica, il lettore apprende che la percezione del coronavirus, in una regione del mondo così abituata ad affrontare emergenze e soprusi, “non ha spaventato la maggior parte della popolazione” africana. Come scrivono i due autori “ è stato ignorato, scherzato, al limite maledetto come l’ennesimo sotterfugio per alimentare la corruzione e riempire le tasche già piene di governatori e lobby”.
Eppure, il caso africano, regala spunti di riflessione e di analisi perché promuove un modello diverso “nell’affrontare il problema del Covid” e studiarlo “potrebbe essere molto utile per le nazioni industrializzate”.
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