Githinji Gitahi, global Ceo di Amref Health Africa, indica la strada da seguire per investire sul futuro: l’innalzamento del livello culturale è l’elemento chiave.
Until all of us have made it, none of us have made it. Fino a quando non ce l’abbiamo fatta tutti, nessuno di noi ce l’ha fatta. Il messaggio è chiaro. Semplice e diretto nella forma e nella testa di chi di queste parole ha fatto una filosofia di vita e un mestiere. Per guidare la più grande organizzazione sanitaria no profit presente in Africa, non basta essere estremamente competenti e qualificati, ma bisogna esserci totalmente dentro, e saper ispirare. Così Githinji Gitahi, Global Ceo di Amref Health Africa, intervistato da Fortune Italia, arriva a far luce sulle radici e sulle possibili azioni da intraprendere per superare i grandi problemi dell’Africa.
E lancia un appello al governo italiano.
Ma come aiutare un intero Continente? In primis bisogna capire qualcosa che i tre fondatori di Amref, il britannico Michael Wood, il neozelandese Archibald McIndoe e lo statunitense Tom Rees, avevano intuito più di 60 anni fa, mentre lavoravano come chirurghi volontari: “si resero conto che le comunità erano in grado di trovare le soluzioni ai propri problemi, se venivano messe nelle condizioni di poterlo fare”, spiega Gitahi. Il punto è che “bisogna mettere le persone del posto in grado di ‘salvarsi’ e salvare il proprio Paese – afferma il Ceo – formare una sola ostetrica può significare far nascere in sicurezza moltissimi bambini ogni anno; insegnare i corretti stili di vita alle comunità per evitare il contagio da Hiv si traduce in un abbattimento delle infezioni, e questo vale per tutto”.
Lo sa bene, lui. Medico, prima che Ceo Global di Amref. Nato in un piccolo villaggio in Kenya, ottavo di 9 fratelli. “Quando ripenso alle mie radici, al posto da cui vengo – racconta Gitahi – so che oggi sono quello che sono perché mia madre mi ha nutrito, mi ha portato a scuola e si è assicurata che facessi tutte le vaccinazioni delle quali avevo bisogno, in modo che non mi ammalassi, e avessi così la forza e la concentrazione giusta per poter studiare”.
La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio.
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