Oltre sei anni di conflitto civile, l’economia al collasso e la conseguente crisi umanitaria sono solo alcuni dei fattori che affliggono il giovane Sud Sudan, ma “questa è la volta buona, questa volta funzionerà,” echeggiano alcuni. Manca poco al 22 febbraio, giorno entro il quale dovrebbe insediarsi il governo di unità nazionale secondo l’accordo di pace siglato tra le parti del conflitto Sud Sudanese a settembre 2018. Guglielmo Micucci, Direttore di Amref Health Africa-Italia, e Sara Del Debbio, operatrice Amref, hanno fatto ritorno in Italia da pochi giorni, e ci raccontano le loro sensazioni ed esperienze in Sud Sudan.
La speranza, ora, è di aprire la strada alla formazione di un governo di unità nazionale entro il 22 febbraio, ma il numero degli Stati è ancora da determinare. La costituzione Sud Sudanese parla di 10 Stati ma, nel 2015, il presidente Salva Kiir ha sancito una nuova divisione del territorio, istituendo 28 Stati, per poi farli diventare 32 nel 2017. Tuttavia, queste decisioni non sono passate da una riforma della costituzione e, per questo motivo, nuovi conflitti stanno attualmente emergendo tra coloro che desiderano tornare alla conformazione originale, e quei neo-Stati che non intendono rinunciare alla propria autonomia. C’è chi ritiene che questa questione ancora irrisolta non sarà motivo di disfacimento del lungo processo di pace e chi, invece, non nutre più speranze.
I dati. Crisi politica, una guerra civile che in sei anni ha causato morti e una catastrofica emergenza umanitaria, affliggono il giovane Sud Sudan. Dall’inizio del conflitto, nel 2013, molte persone sono state sradicate dalle loro case, sfollate all’interno del Paese o in insediamenti di rifugiati al di fuori. Tra il 2013 e il 2017, più di mille bambini sono Stati uccisi o feriti, mentre più di 75mila bambini rifugiati in Uganda, Kenya, Etiopia, Sudan e Repubblica Democratica del Congo hanno attraversato i confini del Sud Sudan non accompagnati (UNHCR/UNICEF, 8 maggio 2017). L’assistenza sanitaria del Paese è tra le peggiori del mondo – fornita, per l’80%, dalle ONG, non dallo Stato – con polmoniti e bronchiti che uccidono oltre 15mila sud sudanesi l’anno. Seguono HIV e AIDS (14.400 vittime), diarrea (8.600), malaria (5.900).
In quegli incontri abbiamo riscontrato un barlume di speranza che vogliamo continuare ad alimentare. Una speranza solida. Fatta di competenza e lavoro. Una speranza che siamo certi contribuirà alla riconciliazione di un popolo martoriato ormai da troppo tempo. La nostra non è solo una risposta sanitaria, ma per la pace, visto che da decenni sud sudanesi di etnie diverse -che spesso sono in lotta – studiano fianco a fianco negli istituti che sosteniamo, per migliorare la salute del loro Paese”.
Dal 1998, Amref supporta il Maridi Health Science Institute che, ad oggi, ha formato circa l’80% dei quadri sanitari intermedi che operano in Sud Sudan. L’organizzazione è impegnata a sostenere questa area dal 1972. Nel 2013, a Maridi, Amref ha avviato la prima scuola femminile di scienze dell’intero Sud Sudan. L’impegno continua con la formazione di promotrici dell’igiene e di operatori sanitari, costruzione di nuovi pozzi e latrine, (progetto SANI) e con l’attivazione di scuole per allevatori e coltivatori.
“Io voglio pensare che, stavolta, possa vincere il volere del popolo che non ha più le forze di stare in una guerra che non lo sta portando da nessuna parte, se non a sofferenza e distruzione” dichiara Sara Del Debbio, operatrice di Amref, in viaggio con Micucci in Sud Sudan. “Questa non è la guerra per l’indipendenza, quella l’hanno già fatta e l’hanno già faticosamente e orgogliosamente vinta. Ora i Sud Sudanesi hanno voglia di vivere, non più di versare sangue. Più guerra, più povertà, più povertà, più guerra. Un circolo vizioso da cui il Sud Sudan non riesce a scappare, “È impressionante il ruolo vitale dei tanti attori come Amref che, cooperando tra loro, hanno tessuto negli anni una rete di servizi per garantire la sopravvivenza di questo popolo,” continua.
Tutte le persone coinvolte nelle crisi Sud Sudanesi meritano un domani degno di essere chiamato futuro. “Questa è la volta buona, questa volta funzionerà,” echeggiano alcuni, tra cui Amref, che crede nel popolo Sud Sudanese e investe nel futuro dell’intero Paese.
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Dopo sei anni in guerra il Sud Sudan è a un passo dalla pace