Se la pandemia da coronavirus ha messo in ginocchio indistintamente tutti gli stati del mondo, sia in termini di salute, sia a livello economico, ci sono nazioni e continenti per i quali l’emergenza ha significato anche una grave battuta d’arresto nel processo di affrancamento da secolari piaghe sociali.
Un recente rapporto delle Nazioni Unite, spiega in quale misura l’impatto del Covid-19 sia riuscito a rallentare pericolosamente i progetti di intervento in varie regioni dell’Africa per arginare quelle che sono le derive sociali (e conseguentemente sanitarie) endemiche fra quei popoli. Gli obiettivi in primo piano e che inevitabilmente, a causa della pandemia, saranno ora più lontani, riguardano la famiglia ed in particolare le donne, per le quali le organizzazioni umanitarie internazionali si adoperano da anni. Parliamo di lotta alla violenza di genere che trova il suo culmine nella pratica dell’infibulazione, ovvero la mutilazione dei genitali femminili (MGF); di prevenzione contro l’esito mortale delle gravidanze; e di auspicata frenata sui matrimoni con spose bambine.
L’UNFPA (United Nations Population Fund) ha ipotizzato il 2030 come data per il raggiungimento dei traguardi pianificati, ma intanto evidenzia gli ostacoli che il Covid-19 ha prodotto in questi lunghi mesi in Africa e le aumentate difficoltà nella messa in atto dei progetti di intervento sui vari fronti. Importanti passi avanti ad esempio, erano stati fatti negli ultimi anni per arginare la cruenta usanza dell’infibulazione. Si stima che in tutto il mondo siano circa 200 milioni le donne che hanno subito questo intervento, considerato uno dei peggiori esempi di violazione dei diritti umani e spesso preludio al matrimonio infantile, precoce e forzato.
I programmi internazionali si sono sempre dimostrati efficaci nella battaglia contro questa pratica e, come si evidenzia nel rapporto dell’UNFPA, la crescente urbanizzazione, ma soprattutto lo sviluppo dell’istruzione, avevano fatto pronosticare la concreta possibilità di avere 46,5 milioni di casi in meno tra il 2020 e il 2050.
Ora, il cambiamento radicale delle abitudini a causa della pandemia, rischia di compromettere i “successi” fin qui ottenuti. La chiusura delle scuole significa minore possibilità di “controllo” sulle giovani donne. Vuol dire quindi poterle proteggere meno. Allo stesso tempo, il distanziamento sociale blocca di fatto l’applicazione dei programmi di prevenzione, basati sempre su un lavoro di “empowerment”, ovvero di crescita dell’individuo e allo stesso tempo del gruppo.
Avenir Health, che fa capo alla Bill&Melinda Gates Foundation, aveva previsto che il potenziamento dei programmi di prevenzione sulle MGF avrebbero ridotto di circa 5,3 milioni il numero di casi tra il 2020 e il 2030. La pandemia COVID-19 potrebbe influenzare in negativo queste stime, anche a causa di una attenzione sanitaria al momento obbligatoriamente orientata alla salvaguardia della salute pubblica più che alle problematiche specifiche, per proteggere dal virus l’intera comunità.
Ipotizzando un ritardo di circa 2 anni nello sviluppo dei progetti di intervento contro le mutilazioni femminili, è possibile che fra il 2020 e il 2030 si avranno 2 milioni di casi di MGF che avrebbero potuto essere evitati. Una riduzione del 33% dei progressi per porre fine a questa pratica mostruosa.
Anche nel rapporto di Amref Health Africa sull’impatto della pandemia, in particolare nelle regioni di Kajiado, Samburu e Marsabit, in Kenya, contee con alta prevalenza di Mgf (Mutilazioni Genitali Femminili) e Cefm (Matrimoni Precoci e Forzati), si scopre quanto le nuove regole imposte dall’emergenza sanitaria, abbiano influito sul delicato percorso della prevenzione. L’indagine dell’African Medical and Research Foundation, svolta attraverso questionari ed interviste, ha coinvolto uomini e donne fra i 15 e 49 anni, operatori di programmi di prevenzione contro le Mgf, responsabili politici e funzionari dei governi.
“Le tre regioni coinvolte nell’indagine – spiega Paola Magni, Referente di Amref per i progetti di contrasto alle mutilazioni genitali femminili – sono state scelte per l’alta prevalenza delle Mgf e Cefm. Mentre la media nazionale si assesta sul 21% per le mgf e 11% per Cefm, le 3 zone coinvolte hanno indicatori molto elevati. Kajiado (Mgf 78%, Cefm 20%). Samburu Mgf 86%, Cefm 38%), Marsabit (Mgf 91,7, Cefm 80%). In tutte e tre le zone siamo presenti da molto tempo e abbiamo rapporti consolidati con le comunità e le autorità locali”.
Dallo studio è emerso che, alla base di una nuova crescita dei casi di Mgf c’è senz’altro la chiusura delle scuole (nel 50% delle risposte) e la conseguente permanenza a casa. Mentre le perdite economiche e l’isolamento, sono state rilevate (39%) come le spinte più forti per l’aumento dei casi di matrimoni precoci e forzati proprio durante la pandemia di COVID-19.
“Ci sono evidenze – chiarisce Paola Magni – che indicano un aumento del rischio che donne e ragazze subiscano mutilazioni e matrimonio precoce e forzato, specialmente tra le giovani che non vanno a scuola e vivono in aree emarginate. Il COVID19 ha contribuito in modo significativo all’aumento delle Mgf che tendenzialmente coinvolgono minori di età compresa fra i 6 e i 14 anni. Nonostante la pandemia e le conseguenti limitazioni, noi di Amref proseguiamo le nostre attività che prevedono la sensibilizzazione a livello comunitario, il dialogo con i decisori a livello comunitario, l’empowerment di donne e ragazze, la formazione degli operatori socio-sanitari, azioni di advocacy a livello locale e nazionale”.
I dati raccolti da Amref sottolineano comunque una inevitabile oscillazione nell’offerta degli interventi assistenziali con l’arrivo della pandemia. I servizi forniti per i casi di mgf includevano consulenza psicologica e sessuale (52%), soccorso (45%) e reinserimento nella comunità (23%). Durante l’emergenza c’è stato un aumento della consulenza psicologica e sessuale (69%), ma una consistente riduzione dei soccorsi (18%) e del reinserimento nei servizi di comunità (7%).
Siccome stiamo parlando di un drastico cambiamento delle abitudini sociali, con la chiusura degli istituti scolastici e il “confinamento” forzato nelle proprie case, viene da pensare che, in questo momento, potrebbero essere i nuclei familiari a svolgere un ruolo determinante. Potrebbero sostituirsi alle strutture pubbliche nel creare intorno alle loro ragazze a rischio, una rete di protezione e tutela.
“Sì, le famiglie hanno un ruolo fondamentale, in quanto custodi della tradizione – sottolinea la referente Amref. – Le famiglie sono infatti uno dei target di sensibilizzazione più importante affinché comprendano appieno le conseguenze fisiche e psicologiche di queste pratiche e il beneficio che l’eliminazione di queste pratiche comporta a livello personale e comunitario, è infatti dimostrato che le donne e le ragazze emancipate svolgano un ruolo fondamentale per ridurre la povertà e promuovere lo sviluppo a tutti i livelli”.
Insomma. Incassato il colpo degli inevitabili ritardi causa Covid nello svolgimento dei programmi di prevenzione e lotta alle pratiche primitive a danno delle giovani donne africane e di argine ai loro destini nefandi, le organizzazioni umanitarie non si fermano. E guardano avanti, all’immediato futuro, pur gestendo la quotidianità dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus.
“Amref, sin dall’inizio dell’epidemia in Africa, è stata in prima linea con programmi di preparazione e risposta al COVID19 – spiega Paola Magni -, lavorando con tutti i livelli di stakeholder a livello regionale, nazionale e locale. Amref è membro della task force nazionale per la risposta al COVID-19 in Kenya ed è anche membro dell’Africa COVID-19 Response Committee dell’Unione Africana (UA) e dei Centri Africani per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) e sta lavorando a stretto contatto con i Ministri della Salute africani. Possiamo dire di essere sempre attivi al cento per cento perché Amref Health Africa sostiene i governi e gli istituti nazionali nell’organizzazione di misure preventive; fornisce formazione agli operatori sanitari sulle misure di infezione, prevenzione e controllo; diffonde materiale educativo per le comunità; ha perfino programmi di evacuazione di emergenza attraverso l’aviazione (Amref Flying Doctors)”.
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